CORONAVIRUS: QUALI CONSEGUENZE PER GLI IMPRENDITORI?
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Le preoccupazioni che derivano da questa nuova situazione nella quale stiamo vivendo sono plurime, infatti oltre alla salute pubblica desta particolare preoccupazione la situazione economica. Molti dubbi riguardano anche le conseguenze che la crisi economica avrà sui contratti che normalmente vengono stipulati dagli imprenditori.

In questo articolo vedremo l’esempio pratico di due tipologie di contratto per capire insieme le problematiche del caso e come affrontarle.

Impossibilità sopravvenuta della prestazione

I maggiori problemi derivano dai contratti che vengono utilizzati quotidianamente. Tra questi contratti possiamo osservare il contratto di locazione e il contratto di fornitura delle merci. Come sappiamo il contratto è il principale strumento utilizzato dagli imprenditori perché consente loro di accordarsi per ottenere una prestazione o un bene in cambio di una controprestazione, per esempio.  Ma cosa succede se una delle parti non può adempiere alla sua prestazione?

Con il termine impossibilità sopravvenuta si fa riferimento alla circostanza nella quale il debitore non può adempiere all’obbligazione. La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta è contenuta nell’art. 1256 che dice:

“L’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, fino a che essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’inadempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile nei seguenti casi:

  • la prestazione del debitore è diventata impossibile;
  • l’utilizzo della prestazione da parte del creditore è impossibile.

Nel primo caso l’impossibilità non deve essere imputabile al creditore e non deve più avere interesse a ricevere la prestazione. In questo caso è ovvio che non esista più la finalità del contratto e l’obbligazione del debitore, dunque ciò che lui “deve” al creditore si estingue.

Dunque Tizio, proprietario di un bar, ha bisogno della merce entro lunedì, ma la merce viene consegnata martedì e Tizio non ha più interesse alla prestazione. In questo caso Tizio è esonerato dal pagare il debito perché non ha più utilità dal ricevere la merce il martedì.

Mentre se, come nel secondo caso, la prestazione fosse di tipo pecuniario l’impossibilità della prestazione, affinché il debitore non ne sia responsabile, deve essere un impedimento obiettivo ed assoluto che non può essere rimosso. 

Riprendendo l’esempio di prima, Tizio non può pagare il canone dell’immobile perché la sua attività è stata chiusa successivamente alle misure anti-covid19 disposte dal Governo. Il mancato pagamento del canone dipende da un evento obiettivo e assoluto che non può essere rimosso da Tizio, cioè l’imposizione della chiusura della sua attività da parte del Governo.

Contratti di locazione

Come abbiamo visto uno dei contratti principali è il contratto di locazione, cioè quel contratto che consente ad un soggetto chiamato locatore di mettere a disposizione un bene immobile in cambio di un canone che gli verrà dato dal conduttore, che avrà a disposizione il bene immobile.

Si parla in questi casi di “contratti a prestazioni corrispettive”, cioè i contratti nei quali le prestazioni delle parti sono connesse cosi che l’una sia è giustificata dalla controprestazione dell’altra. In seguito all’emergenza Coronavirus si potrebbe pensare che l’impossibilità (ex art. 1256) si sia verificata per entrambe le parti. In realtà, è maggiore l’impossibilità di utilizzare l’immobile da parte del conduttore rispetto a quella del locatore.

Perché? La possibilità di mettere a disposizione il locale non diventa impossibile a seguito di simili emergenze. Piuttosto il vero problema riguarda chi intraprende un’attività commerciale negli immobili locati.

Bisogna continuare a pagare il canone? Non va più pagato, senza dubbio in quanto il conduttore si libera dalla sua obbligazione.

Si può esigere che la controprestazione continui e si mantenga la messa a disposizione del locale? Anche se il proprietario dell’immobile non ha alcun interesse a tenere sfitto il locale per tutta la durata del D.P.C.M., la risoluzione del contratto non sarebbe conveniente, soprattutto per il conduttore che tra l’altro non può pagare perché egli stesso non ha entrate.

Casi del genere sono un esempio importante per tutti quelli che vivono una fase di “stasi”. Lo scioglimento del contratto infatti sembra quasi una scelta “obbligata”. Per arrivare alla maggior utilità, ma anche al minor sacrificio, la cosa migliore da fare sarebbe tenere fermo il contratto sia per il bene del conduttore che per il locatore.

Mantenere il contratto di locazione consente al conduttore di continuare a disporre dell’immobile e il locatore, a causa della situazione non riuscirebbe a trovare un nuovo conduttore e quindi non riuscirebbe comunque ad avere il canone che gli spetta da contratto.

Contratti di fornitura

Analizziamo il contratto di “fornitura merci” per le attività del settore terziario. Questo tipo di contratto è particolarmente utilizzato dalle attività che hanno bisogno di merci e prodotti forniti da altre imprese.

Il problema si pone in particolar modo per i bar e i ristoranti. Non è un mistero che ormai tali attività sono in crisi: non perché siano state costrette a chiudere, ma perché “la loro stessa essenza” è in contrasto con le raccomandazioni e le prescrizioni ministeriali.

A seguito del decreto Dpcm 11 marzo 2020 che prevede la chiusura dei locali non essenziali all’emergenza, si registrano numerose perdite per queste attività. Infatti non producendo più non hanno neppure bisogno della merce, che di conseguenza rimane ferma nel magazzino.

Il primo problema da analizzare dunque riguarda la merce che è stata consegnata. Per esempio analizziamo il caso della fornitura di numero X pedane di bibite con scadenza breve, o fornitura di fresche. Tutte queste forniture difficilmente possono essere rese e i margini per esigere una restituzione della controprestazione sono ridotti al minimo. 

Il 1256 c.c. risulta difficilmente applicabile perché l’impossibilità è sopravvenuta, ma una delle parti ha eseguito “completamente” la propria prestazione. Una parte ha adempiuto all’obbligazione stabilita nel contratto, infatti ha fornito la merce. Tuttavia resta una “scarsa utilizzazione” a causa dell’inutilità di tali beni che non si poteva prevedere. In questo caso, le vie percorribili sono due:

  1. si possono vendere tutti questi prodotti ad imprenditori che hanno ancora un giro d’affari e possono smaltire tale merce in breve tempo;
  2. si possono concordare delle clausole contrattuali con cui tutelare meglio i propri interessi (reso, omaggi etc.).

Generalmente in questi casi fornitori come Galbani, DIPRA, Tiscali formaggi, Arborea e Ferrero applicano clausole di reso ai contratti di fornitura per evitare una catastrofe a queste attività, pur rischiando di essere eccessivamente onerati dalle condizioni. Tuttavia potrebbero essere disposti ad applicare una percentuale di guadagno minore sul singolo prodotto venduto o potrebbero alzare il numero di resi accettabili, così assicurare il bene della propria azienda e quella dell’attività che le è cliente.

Avv. Nicola Ibba

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