L’emergenza sanitaria con le sue regole restrittive ha portato nelle nostre vite un nuovo “oggetto”, sconosciuto ai più: l’autocertificazione.
Come le chiavi di casa è diventato uno strumento indispensabile per uscire dalla nostra abitazione. L’autocertificazione è un istituto giuridico noto a noi avvocati amministrativisti e perciò cercherò di spiegarvi di cosa si tratta.
Per i risvolti penalistici derivanti da un’eventuale falsità ho chiesto la collaborazione alla scrittura al mio collega penalista, l’Avvocato Ignazio Ballai.
Cos’è un autocertificazione?
Nasce in un’ottica di semplificazione amministrativa, con l’obiettivo della completa decertificazione del rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadini. In sostanza, è consentito al cittadino di presentare una dichiarazione, sottoscritta, che assume la stessa validità degli atti che sostituisce.
La legge contempla due ipotesi distinte:
- autocertificazioni, ovvero le dichiarazioni sostitutive di certificazioni con cui si attestano stati, fatti e qualità documentabili e certificabili dalla pubblica amministrazione (es. residenza, cittadinanza, stato di famiglia);
- autodichiarazioni, dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà con cui si attestano stati, fatti e qualità personali che siano a diretta conoscenza dell’interessato (es. luogo di lavoro o appuntamenti per visita medica).
Pertanto, nel nostro caso è più corretto parlare di autodichiarazione in quanto si attestano stati, fatti e qualità non contenuti all’interno di pubblici registri e dunque non verificabili tramite certificati originali.
Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di accettare tali autocertificazioni e dichiarazioni e a effettuare un controllo solo successivamente alla presentazione. Qualora emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti, e inoltre va incontro a sanzioni penali.
Profili penalistici
Prima di parlare dei reati che ragionevolmente possono configurarsi, occorre premettere che la scelta di impiegare l’istituto dell’autodichiarazione nell’amministrazione dell’emergenza è stata del Ministero dell’Interno che ne ha disposto il suo utilizzo con una Direttiva indirizzata alle autorità impegnate nel controllo del territorio.
In tale Direttiva si chiarisce che spetta al cittadino dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento e tale onere potrà essere assolto producendo un’autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (ovvero la normativa analizzata in precedenza), che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica.
A quali reati si va incontro?
I modelli di autodichiarazione forniti dal Ministero dell’Interno richiamano l’art. 495 del Codice penale. Tale norma punisce con la reclusione da uno a sei anni chi dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale:
- l’identità (generalità anagrafiche);
- lo stato (condizione del soggetto all’interno della comunità sociale come cittadinanza, stato coniugale, potestà);
- altre qualità della propria o dell’altrui persona (le qualifiche idonee a identificare il soggetto come la professione, l’ufficio pubblico ricoperto, la residenza, etc.).
Nel nostro caso, riteniamo che tale delitto sia di difficile configurazione, in quanto il soggetto non ha nessuna utilità a mentire sulla propria identità, sul proprio stato civile o sulla propria professione. Salvo il caso, abbastanza improbabile, in cui il soggetto, disoccupato, dichiari di essere un chirurgo diretto in ospedale per un intervento urgente.
In ragione di ciò, è opportuno passare all’analisi dell’art. 483 c.p. in cui le false attestazioni riguardano accadimenti fattuali che possono ricomprendere le ragioni per le quali un soggetto si allontana dalla propria dimora.
Tale reato sanziona con la reclusione fino a 2 anni chiunque attesti falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità. Presupposto del reato è l’esistenza di una specifica norma giuridica che attribuisce all’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato viene trasfusa, la funzione di provare la verità dei fatti attestati al Pubblico Ufficiale.
La legge prevede che le autodichiarazioni sono considerate come effettuate al Pubblico Ufficiale e, perciò possono rientrare nella suddetta norma. Esiste sul punto una copiosa giurisprudenza che ritiene che la falsa autodichiarazione integri l’art. 483 c.p. Va sottolineato, che per essere falsa una dichiarazione deve avere ad oggetto fatti e non giudizi o dichiarazioni di volontà.
Quindi l’attestazione del privato deve concretarsi in una affermazione o negazione di verità, restando esclusa la mera dichiarazione di intenti o propositi. Per quanto detto, è evidente che potrà essere chiamato a rispondere di falso il soggetto che dichiari al pubblico ufficiale di essersi allontanato dalla propria abitazione per motivazioni che vengano accertate come non veritiere.
Pensiamo al soggetto che autodichiari di essersi recato dalla anziana madre non autosufficiente e successivamente emerga dai registri dello stato civile che la stessa è deceduta qualche anno prima, in questo caso ci sarà una falsa autodichiarazione ai sensi dell’art 483 c.p. e le connesse conseguenze penali.
Avv. Nicola Ibba Avv.Ignazio Ballai